Giovanni Fusco: musicista compositore per film e cinema  
 
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Giovanni Fusco: musicista compositore per film e cinema - La Vita - biografia
"La musica è la luce, l’anima del film."
- Giovanni Fusco -
 
 

Studi su Giovanni Fusco

GIOVANNI FUSCO: IL PADRE DELLA MODERNA MUSICA DA FILM - PRIMA PARTE di Sonia Picozzi

Fonte: www.colonnesonore.net

GIOVANNI FUSCO TRA ANTONIONI E RESNAIS
"Celebrando i cento anni dalla nascita"

Giovanni FuscoForse lo scopo finale a cui l’artista aspira è una confusione o unione di tutte le arti, così come le cose si confondono nella vita reale (1).

Il Maestro Giovanni Fusco non è facilmente leggibile, in quanto non è catalogabile in una scuola precisa, ma è proprio questo a renderlo un musicista estremamente rigoroso e di livello eccezionale che non scende al compromesso della musica da film di compilazione o di semplice accompagnamento, piatta e subordinata negativamente all’immagine, rinchiusa negli stereotipi e nei cliché. Con lui la musica diventa vera protagonista ed anima del film, come lui stesso osserva: Il film senza musica non si può fare. Ci ha provato Duvivier ed è stato un fiasco. E nessun altro lo ha imitato. La musica è la luce, l’anima del film. Provi a toglierla e vedrà che il film, da solo, non si regge. Vorrei aggiungere che ogni film necessita di una musica composta appositamente per esso (2) .

Volente o nolente è lui stesso a creare una scuola, quella che porta alla moderna musica per film.

Il Novecento è un secolo ricco di contrasti stilistici e di iperindividualismi che sterilizzano il terreno, altrimenti fertile, della creatività e che caratterizzano la storia dell’arte contemporanea come una storia fatta di antitesi e di esaurimento delle potenzialità espressive, alla ricerca di nuovi stili e di nuovi generi.
Per quanto riguarda la musica, l’antitesi diventa elemento dialettico generando un superamento dei parametri esistenti, che nasceva, seppur nel rispetto delle peculiari differenze dei nuovi musicisti, all’interno dell’ambito stesso della tradizione musicale. Si arriva così alla distruzione del sistema tonale attraverso il diatonicismo, la politonalità e la poliritmia di Stravinskij, l’atonalità, il principio seriale e la riorganizzazione dodecafonica di Schönberg e l’uso di cellule sonore etniche con l’impiego percussivo di strumenti, normalmente melodici, messo in atto da Bartók.

Di questi tre poli individuati quelli che appaiono interessanti, ai fini di una comprensione totale del Maestro Giovanni Fusco, sono, senz’altro, quello di Stravinskij e quello di Bartók, in quanto spiegano le basi di partenza della sperimentazione «fuschiana» sul linguaggio musicale.
Per citare subito due esempi, basti pensare al notevole contributo offerto dalla colonna sonora a due documentari di Francesco Maselli, Festa a positano (1954), tutto stravinskiano, e Una fiera italiana (1956) in cui utilizza quattro temi bellissimi che mettono bene in evidenza la sua genialità nel riuscire a tradurre motivi della tradizione popolare ed etnicomusicologica in un linguaggio musicale moderno, raffinato e colto.

Non è un caso che guida e maestro di Giovanni Fusco, nel campo della composizione, sia stato Alfredo Casella, importante testimone ed interprete di tutti i fermenti sperimentali e avanguardistici, che hanno movimentato gli ambienti culturali del primo novecento e colui che ha saputo e voluto farsi promotore di un autentico rinnovamento della vita musicale italiana portandovi i frutti degli incontri, delle esperienze e delle conoscenze fatte nel ventennio trascorso a Parigi. Qui venne in contatto con Debussy, Ravel, Stravinskij e Schönberg venendone notevolmente influenzato, mentre la volontà di sperimentare lo portò a confrontarsi anche con il cinema, dando alla musica per film la dovuta considerazione. Era, infatti, solito dichiarare: L’arte è un mestiere, un artigianato superiore. […] Giovani, imparate e, sino all’ultimo giorno, perfezionate l’arte vostra. Non vi proponete come meta il bello, né tanto meno il sublime. Ma mirate unicamente alla buona qualità ed alla perfezione assoluta del vostro lavoro. Il resto, compreso il bello ed eventualmente il sublime, verrà da sé (3) .

Giovanni FuscoOsservazione che bene si adatta all’iter di lavoro necessario al cinema, non solo per il compositore ma per tutta l’équipe e che viene a contraddire quanti sostenevano, come argomento a sfavore della musica per film, che essendo, il comporre colonne sonore, un lavoro d’artigianato al «servizio» delle immagini e «subordinato» ad  esse doveva necessariamente essere una musica di serie B. A mio avviso non esiste una musica di serie A ed una di serie B, come non esistono graduatorie o «patenti» di serietà e di legittimità, quanto, piuttosto, esiste buona o cattiva musica. Esiste quella musica che rispetta il suo carattere universale di «linguaggio» fruibile da popoli e culture eterogenei in un concetto globale di «musica del mondo».

Ecco, quindi, che, in tutta questa congerie di sperimentazioni avanguardiste, che popolano il primo Novecento, il cinema si pone, per molti, ma non per tutti, come la risposta al malessere generalizzato che aveva colpito tutti i settori dell’arte, a beneficio sia del mittente del messaggio artistico che del suo destinatario, il nuovo spettatore, la «massa». «La riproducibilità tecnica dell’opera d’arte modifica il rapporto delle masse con l’arte. […] L’umanità, che in Omero era uno spettacolo per gli dèi dell’Olimpo, ora lo è per se stessa» (4) . Il cinema diventa il mezzo privilegiato che permette la sintesi delle arti, quell’«opera d’arte totale», il «Gesamtkunstwerk» articolato attraverso il «wort-ton-drama»(5) , di wagneriana memoria.

Persino Lukács, pur collocando il cinema nella sfera dell’«inautenticità» del mondo moderno, del puro divertimento, considerandone la sua fantasticità ancora troppo legata ad artifici tecnici e quindi accidentale, riesce a coglierne l’essenza ritmica, che invano il romanticismo aveva chiesto al teatro, e quindi, la tensione verso la «completezza» dell’arte (6).

Ed è in questo clima che si viene delineando il carattere e la personalità artistico-musicale di Giovanni Fusco, nato a Sant'Agata dei Goti in provincia di Benevento il 10 ottobre 1906 e scomparso il 31 maggio 1968 a Roma, musicista d’avanguardia senza essere però un dissacratore, come spesso accadeva nelle file degli artisti contemporanei.
Cordiale, generoso, arguto di lui restava impresso lo sguardo, dietro cui si celava un mondo pregno di sensibilità e aperture, i suoi occhi, vividi, alcune volte sferzanti, che denotavano una intelligenza pronta e acuta che lo rendeva un musicista raffinato e nello stesso tempo vicino alle anime più eterogenee, ma pronte, a vari livelli, ad ascoltare.

Il suo modus operandi era caratterizzato dal rispetto assoluto per il suo «mestiere», per i suoi collaboratori e per i suoi colleghi, in quanto ben conscio del potere del cinema nell’evoluzione della cultura. Ed infatti, così dichiarava, nell’intervista rilasciata a Marina Magaldi il 12 dicembre del 64: «Io al cinema ho sempre creduto. A me la colonna sonora piace. Del resto, anche se il cinema è l’arte dei giovani, io, malgrado i capelli bianchi, sento di avere uno spirito giovanile»(7) .

Giovanni FuscoNel cinema ha svolto tutti i tipi di lavoro che un musicista come lui potesse fare, componendo, arrangiando e rifacendo le colonne sonore originali di film stranieri, guadagnandosi, così, un’ottima educazione cinematografica che è importante per un compositore di musica per film tanto quanto quella strettamente musicale.

Il Maestro Giovanni Fusco si è distinto anche e soprattutto per la sua disponibilità verso l’essere umano nella totalità delle sue espressioni emotive ed artistiche, avendo sempre uno sguardo attento alle nuove generazioni. Ha tenuto a battesimo diversi tra i registi più promettenti del panorama cinematografico italiano, un esempio per tutti è quello di Michelangelo Antonioni con il quale ha cominciato a collaborare dai primi documentari fino ad arrivare ai lungometraggi, Cronaca di un amore (1950) (Nastro d’argento per la miglior musica a Cannes nel 1951), I vinti (1952), La signora senza camelie (1952-53), Le amiche (1955), Il grido (1956-7), L’avventura (1959) (Nastro d’argento per la miglior musica a Cannes nel 1960), L’eclisse (1962), Deserto rosso (1964).

Inizia a lavorare come autore di colonne sonore originali nel ventennio fascista firmando film come: Il cammino degli eroi (1936) di Corrado D’Errico, La contessa di Parma (1937) di Alessandro Blasetti, Il dottor Antonio (1938) di Enrico Guazzoni, Pazza di gioia (1940) di C. L. Bragaglia e così via. Fino ad arrivare all’incontro con Antonioni avvenuto nel 1948 con la composizione della colonna sonora di N. U. (Nettezza Urbana), la quale colonna sonora «emoziona»(8) tutto l’ambiente culturale romano e non solo quello strettamente legato all’industria cinematografica, per la sua genialità, per il modo in cui si inserisce nel film, quasi in punta di piedi, ma penetrandolo tutto nella sua struttura fino a divenirne l’anima. Da qui si guarda a Fusco come un personaggio determinante nel panorama della moderna musica per film (9).

Analizzando le colonne sonore firmate dal Maestro si possono rilevare una serie di caratteristiche peculiari, di elementi ricorrenti, che sono la sua cifra stilistica, una sorta di filo rosso che percorre tutta la produzione fuschiana, e che in seguito si sono potuti rilevare nella pratica «normale e quotidiana» dei compositori di musica per film, per lo meno di quelli che hanno prestato orecchio al cambiamento ed hanno deciso di «usare» le altrui esperienze «come trampolino di lancio» verso un «futuro inevitabile».
Tanto per citare il più celebre dei pupilli del Maestro Fusco, possiamo trovare delle similitudini in alcuni aspetti del modo di comporre musica per film di Ennio Morricone, che fu suo orchestratore per Gli sbandati (1955) di Francesco Maselli, quali:
• l’uso della voce come strumento; celebre prototipo il magistrale pezzo eseguito da Cecilia Fusco, sua figlia, nella sequenza della fiaba-sogno per Deserto Rosso. Un lungo vocalizzo, una canzone senza parole, che ancora una volta esprime l’inesprimibile;
• l’inserimento di elementi musicali intradiegetici come il fischio: da notare la melodia fischiata di Cronaca di un amore, un bellissimo valzer lento eseguito da Pier Paolo Piccinato.

Giovanni Fusco«[…] Fusco si esprime per frammenti, con pochi strumenti ed entra con molta discrezione nel film» (10) partendo da questa affermazione che Roberto Calbretto fa, nel suo studio, mettendo a confronto Nino Rota e Giovanni Fusco e che mi trova in perfetto accordo, vorrei elencare quegli aspetti stilistico-formali, tipici e caratteristici, della sintassi «linguistico-musicale» della poetica del nostro compositore.
1. Eclettismo, riscontrabile nella varietà delle esperienze compositive, le più diverse tra loro, che vanno a confluire nella sua occupazione principale, la musica per film. Ha frequentato gli ambiti della «musica leggera» scrivendo «canzoni d’autore» (11) come la "Ballata del suicidio" su testo di Pier Paolo Pasolini per lo spettacolo di Laura Betti, Giro a vuoto (12), in cui poche note frammentarie, sono accompagnate da un ostinato ritmico del pianoforte alla mano sinistra. Si è esercitato nella, cosiddetta, «musica di consumo» (13), quei ballabili tanto in voga negli anni cinquanta e che ritroviamo largamente impiegati anche nelle sue colonne sonore, Fox-Trot, Surf, Twist, Slow. Ha collaborato, inoltre, alla realizzazione di programmi radiofonici ed alla creazione di spot pubblicitari (14). Si è dedicato alla direzione d’orchestra preferendo il repertorio contemporaneo ma risalendo anche fino ad esperienze bachiane (15).
2. Essenzialità, scarnificazione dell’orchestra e strumentazione ridotta, appunto, all’essenziale con impasti sonori, a volte inconsueti, di pochi strumenti e con la presenza, spesso, di strumenti popolari: in Cronaca di un amore usa due sassofoni e un pianoforte; ne I vinti, assolo di strumenti ad arco; ne La signora senza camelie, cinque sassofoni e un pianoforte; ne Le amiche, due chitarre e un pianoforte; ne L’avventura, un piccolo ensemble di legni; ne L’eclisse, ottoni e un pianoforte; in Deserto rosso, la voce, il canto e la musica elettronica; ne Gli sbandati, c’è un uso del tutto moderno degli archi; ne I delfini, «canzonette», tra cui "What a sky" (scritta a quattro mani con Maselli e che frutta la fama internazionale al debuttante Nico Fidenco) (16), chitarre e pianoforte solo; ne Gli indifferenti, tromba sola, archi e pianoforte; in Hiroshima, mon amour, flauto, ottavino, pianoforte, clarinetto, viola, corno inglese, contrabbasso e chitarra. L’uso che fa di questi strumenti è molto spesso esasperato al di la delle loro caratteristiche naturali. Alterandone, così, il timbro e i registri fino a renderli quasi dei nuovi strumenti. Esempio tipico di questo modus operandi è l’uso percussivo di strumenti normalmente melodici come il pianoforte.

Giovanni Fusco3. «Aforismo musicale», l’impiego del frammento a sfavore del «tematismo tradizionale hollywoodiano» con l’uso dell’ostinato in funzione «leitmotivica» (dove il leitmotiv è inteso in senso strettamente wagneriano come elevazione degli avvenimenti alla sfera dei significati metafisici) (17) oltre che ritmica. Questa modalità di composizione gli permette di mantenere una sorta di continuità che gli lascia la possibilità di creare delle improvvisazioni molto significative e di riprendere in qualsiasi momento il discorso interrotto (18). Per quanti sostengono che la brevità e la frammentarietà, necessarie alla musica per film che deve «rispettare i tempi cinematografici», siano elementi negativi vorrei riportare quanto scrisse Schönberg nella prefazione alle Sei bagattelle op. 9, per quartetto d’archi (1913) di Anton von Webern, che durano complessivamente tre minuti e mezzo circa:
«Se a favore di questi pezzi intercede da un lato la loro brevità, dall’altro tale intercessione è appunto necessaria per questa brevità. Si consideri qual senso di rinuncia ci voglia per essere così concisi. Ogni sguardo può prolungarsi in una poesia, ogni sospiro in un romanzo… esprimere un romanzo con un unico gesto, una felicità con un solo sospiro…».
4. «Economia semantico-espressiva», la musica di Fusco non «visualizza» o sottolinea le immagini, come avveniva nella tradizione, ma crea l’atmosfera; non è descrittiva, non identifica le situazioni, ma evoca degli stati d’animo, è la voce interiore, o se vogliamo, una sorta di inserto psicologico, ci dice quello che altrimenti non riusciremmo a sentire; «assolve la funzione di rafforzare emotivamente e di accompagnare il processo del discorso interiore» (19) . Generalmente «la pretesa di rendere la musica discreta si traduce non in analogia col rumore, ma in banalità» (20) nel caso particolare Fusco riesce a rendere gli elementi extramusicali dei «precipitati» della musica stessa così come quest’ultima può divenire altro da se rendendosi simbolo e archetipo «anima sonora» dell’opera e del messaggio che il regista vuole trasmettere (21). Due gli esempi che voglio portare a suffragare questo quarto punto: L’avventura (1960) in cui i rumori e i suoni, vengono elaborati e integrati con la musica creando un suggestivo apporto al dramma antonioniano e, soprattutto, Il grido (1957) in cui il pianoforte solo, magistralmente suonato dalla pianista Lya De Barberis, diventa alter ego di Aldo, il protagonista, della sua solitudine, della sua semplice disperazione e ci lascia intendere ciò che l’uomo non vorrebbe ammettere neanche a sé stesso.

Giovanni Fusco5. Contrappunto, pur utilizzando il sistema tonale e recuperando gli stilemi dell’ètà classica la musica di Fusco riesce ad essere moderna ed attuale. Egli prende i modelli e le forme e li decontestualizza, trasformandoli in archetipi, per poi ricontestualizzarli nel suo linguaggio e nel suo stile. All’aspetto verticale e armonico preferisce quello orizzontale, melodico e polifonico con molte voci che contrappuntano. Emancipa e scarnifica le aggregazioni accordali fino a renderle suono puro, «colore» e facendo anche un largo uso della dissonanza. Non a caso gli autori che predilige e da cui trae notevoli spunti compositivi sono: Frescobaldi, Bach, Pergolesi, Bartók e Stravinskij. A proposito di quest’ultimo vorrei attirare l’attenzione su una sua dichiarazione che potrebbe benissimo essere attribuita anche a Fusco:
La forma, nella mia musica, deriva dal contrappunto. Considero il contrappunto l’unico mezzo per cui l’attenzione del compositore è concentrata su questioni puramente musicali (22).

Vorrei concludere la prima parte di questo lavoro dedicandolo a Giovanni Fusco e riportando una sua dichiarazione rilasciata a Marina Magaldi, dispiacendomi di non essere stata io a raccoglierla e di non aver potuto conoscere un artista, ma innanzi tutto un uomo ammirevole, un Maestro nell’arte e nella vita.

«… Sia chiaro che la musica costituisce il 50% del film, è quindi in una posizione tutt’altro che subordinata, ma alla pari. E poi, secondo me, essa acquisterà sempre maggiore importanza. Senza voler parlare dei film che si reggono soltanto sulla colonna sonora, come il film musicale, io penso che la musica diventerà un fatto sempre più importante nel cinema. E non è detto che la situazione attuale non si capovolga: che il musicista diventi cioè il regista».

 

 

 

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NOTE:
1. A. Schwarz,  Man Ray. Il rigore dell’immagine, tr. it. riv. e ampl., Feltrinelli, Milano, 1977, p.5.
2. Marina Magaldi, La «musica per film» si chiama Giovanni Fusco,  in «Rivista del cinematografo», 12, dicembre, 1964, p. 340. 
3. Alfredo Casella, Della nostra attuale «posizione» musicale e della funzione essenziale dello spirito italiano nel prossimo avvenire della musica europea, in «21+26», Augustea, Roma, 1931, pp. 38-9.
4. Walter Benjamin, L’opera d’arte nellepoca della sua riproducibilità tecnica, Piccola Biblioteca Einaudi, Torino, 2000, p. 38 e p. 48.
5. Wort-ton-drama, letteralmente «parola, suono, dramma» espressione coniata da Richard Wagner per indicare un tipo di rappresentazione dell’opera in musica tale da inglobare tutte le forme d’arte. Vedi voce della Garzantina della Musica.
6. Cfr.,György Lukács, Riflessioni per un’estetica del cinema, in AA. VV., Cinema e film, Armando Curcio Editore, Roma, 1986-88 p. 446.
7. Marina Magaldi, La musica per film si chiama Giovanni Fusco, in «Rivista del cinematografo», 12, dicembre, 1964, p. 339.
8. Termine utilizzato da Francesco Maselli raccontandomi l’episodio da lui vissuto, nell’intervista rilasciatami in occasione della mia tesi di laurea: La musica per film e il cinema moderno. Giovanni Fusco tra Antonioni e Resnais, Luglio 2002, Università di Roma La Sapienza, Appendice 2. 
9. Sonia Picozzi, Intervista a Maselli, La musica per film e il cinema moderno. Giovanni Fusco tra Antonioni e Resnais, Luglio 2002, Università di Roma La Sapienza.
10.Roberto Calabretto, Giovanni Fusco: musicista per il cinema di Antonioni, in AA. VV., Le sonorità del visibile. Immagini, suoni emusica nel cinema di Antonioni, Atti del convegno tenutosi a Ravenna il 21-22 maggio 1999, Longo Editore, Ravenna, 1999, p. 64.
11.Cfr., Roberto Calabretto, Giovanni Fusco: musicista  per il cinema di Antonioni, in AA. VV., Le sonorità del visibile. Immagini, suoni e musica nel cinema di Antonioni, Atti del convegno tenutosi a Ravenna il 21-22 maggio 1999, Longo Editore, Ravenna, 1999, p. 52-54.
12.Laura Betti, nome d’arte di Laura Trombetti (Bologna 1934), attrice e cantante italiana. Dopo gli inizi come cantante di jazz, si è rivelata una delle più originali cantanti di cabaret tra il 1950 e il 1960. Si è imposta anche come attrice teatrale esordendo con Enrico Maria Salerno nel Cid di Corbeille. Nel cinema, il suo primo film è stato La dolce vita (1960) di Fellini in cui interpretava se stessa.
13.Cfr., Roberto Calabretto, Giovanni Fusco: musicista  per il cinema di Antonioni cit. p. 55-57.
14.Cfr., ibidem.
15.Sonia Picozzi, Intervista a Maselli, La musica per film e il cinema moderno. Giovanni Fusco tra Antonioni e Resnais, Luglio 2002, Università di Roma La Sapienza.
16.Sonia Picozzi, Intervista a Maselli, La musica per film e il cinema moderno. Giovanni Fusco tra Antonioni e Resnais, Luglio 2002, Università di Roma La Sapienza.
17.Cfr., T. W. Adorno e H. Eisler, La musica per film, Newton Compton, Roma, 1975, p. 22-23
18.Cfr., Gianfranco Casadio, La musica di Giovanni Fusco nel cinema di Antonioni, in «Cinecritica», IV, 13-14, gen-giu 1999, pp. 86-88.
19.Boris M. Ejchenbaum, Ritmo cinematografico e ritmo musicale, in Leggere il cinema, a cura di  A. Barbera e R. Turigliato, Mondadori, Milano, 1978, p. 156-165.
20.T. W. Adorno e H. Eisler, La musica per film, Newton Compton, Roma, 1975, p. 27.
21.Cfr., Ermanno Comuzio, L’anima sonora del regista ferrarese, in «Segnocinema», VI, 25, novembre, 1986, p. 33.
22.Andrè Boucourechliev, Stravinskij, Rusconi, Milano, 1984.

 
   
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